mercoledì 29 ottobre 2008

martedì 7 ottobre 2008

Stiamo facendo lezione

Oggi sto mostrando come si usa un blog ai miei studenti

La democrazia di Dio

Si avvicina il mese di novembre e, pertanto, si fa sempre più vicino il giorno delle elezioni del prossimo presidente degli Stati Uniti d’America, colui che guiderà per il futuro quadriennio la più grande democrazia occidentale e che, anche se indirettamente, determinerà come andranno le nostre vite. Per questo motivo, nei prossimi lunedì letterari, ho deciso di tracciare delle “piste” per comprendere un pPaese che, da europei, amiamo e odiamo profondamente allo stesso tempo, che ci attrae e ci respinge e di cui non riusciamo sempre bene a capire le dinamiche interne, in quanto, pur somigliando alle nostre nazioni ne è allo stesso tempo distante per altre caratteristiche.

La questione diviene ancora più complessa per un evangelico che si sente legato maggiormente agli Stati Uniti per motivi confessionali (sono la nazione con più evangelici al mondo) ed anche politici (è il primo luogo dove la tolleranza religiosa è stata applicata in maniera quasi integrale).

Per iniziare questo viaggio ho deciso di parlare di un testo non nuovissimo, ma che ha visto proprio in questo mese la sua ristampa in edizione economica. Si tratta di un saggio scritto da un italiano, uno storico di grande fama che, proprio come noi italiani, cerca di capire alcune questioni-chiave della politica americana. Il volume in questione si intitola La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero del terrore e l’A. è Emilio Gentile, per i tipi della casa editrice Laterza. Per chi non ha mai sentito il nome di Gentile va detto che si tratta di uno dei maggiori esperti viventi in Italia dei regimi totalitari e i suoi scritti sul Fascismo possono essere paragonati, per importanza, a quelli di Renzo de Felice. Meno noto è che Gentile, oltre ad occuparsi di totalitarismi, si era già occupato del rapporto tra politica e religione in un testo intitolato Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, cercando di mostrare come caratteri religiosi e nazionalismo possano andare di pari passo. Il saggio che qui esaminiamo è una sorta di secondo volume di questa ricerca, che applica i principi di tipo generale ad un caso particolare: quello degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001.

Provare a scrivere un’opera “storica” di un passato così ravvicinato è impresa ardua, ma dobbiamo subito dire che lo storico romano ci riesce molto bene muovendosi con abilità in un gioco sempre difficile per colui che interpreta il passato: quello rimanere abbastanza equilibrato nelle sue valutazioni, pur mostrando chiaramente ed onestamente quali sono le sue posizioni a riguardo, senza celarsi in una oggettività che l’interpretazione storica mai ha, ma offrendo una struttura interpretativa densa e ben documentata.

Il testo che, nell’edizione uscita questo mese, presenta una nuova prefazione dell’A. in cui spiega come abbia ritenuto opportuna la nuova pubblicazione alla vigilia delle elezioni americane parte proprio da un commento ed un’analisi di quanto è successo dopo l’attentato alle Twin Towers. Nel primo capitolo, infatti, Gentile esamina soprattutto quelle che furono le reazioni all’attentato viste come l’inizio di una comprensione nuova da parte di una Nazione che, soprattutto dopo il crollo del regime sovietico, pensava di non aver più nessun nemico che potesse minacciare direttamente il proprio suolo e che non aveva il suo suolo direttamente invaso o violato da almeno due secoli. Sempre nello stesso capitolo si accenna alla tardiva reazione del Presidente Bush i cui consiglieri, mentre era a visitare una scuola del Texas, si resero conto solo con un certo ritardo della gravità della situazione e suscitarono, nello stesso giorno degli attentati qualche perplessità che fu poi sedata in seguito.

Proprio perché gli USA si sono sentiti, sin dalla loro fondazione, una nazione benedetta da Dio, nel secondo capitolo Gentile cerca di capire quale fu la reazione “religiosa” all’accadimento. Per fare questo si parte dalla famosa discussione che, nel XVIII secolo, si ebbe a proposito del terremoto di Lisbona, quando diversi filosofi illuministi (tra cui Voltaire, Rousseau e Kant) intervennero a commentare l’accaduto per cercare di comprendere come la morte di innocenti potesse essere giustificabile, per comprendere se si vivesse nel “migliore dei mondi possibili” oppure su come Dio avesse potuto permettere tutto ciò. La discussione che vi è stata dopo l’11 settembre, a parere di Gentile, ha risvolti analoghi a quella del XVIII secolo con i dovuti distinguo (l’attentato alle Twin Towers non è una catastrofe naturale, ma un atto terroristico oculatamente progettato) e ha suscitato una serie di risposte che vanno da quelle della destra religiosa che, quasi come i fondamentalisti islamici, all’inizio vedevano l’attacco come una sorta di punizione divina nei confronti del popolo americano che si era allontanato da una purezza morale che era andata, gradualmente, infiacchendosi, a coloro che, invece, cercavano una interpretazione di maggiore complessità della questione cercando di capire se vi erano colpe da parte degli USA o, piuttosto, se ci si trovava di fronte ad una manifestazione del Male assoluto con cui bisogna sempre combattere.

Proprio questa discussione porta l’A. a chiedersi che relazione vi sia stato tra il massimo rappresentante della politica americana, il presidente degli Stati Uniti e la religiosità. Gentile afferma che il nesso tra Presidenza e religione, in una nazione che si professa laica e in cui la divisione tra Chiesa e Stato appare netta, rimane molto forte, e lo è stato ancora di più durante il periodo della presidenza di George W. Bush. I capitoli successivi, infatti, cercano di analizzare il personaggio Bush sia prima della sua carriera politica, sia durante i suoi anni di presidenza sino all’inizio del secondo conflitto iraqeno. L’A. ritiene che la fede di Bush come cristiano rinato sia sincera e che questa si sia fusa con il culto della religione civile che ha cercato di interpretare in maniera sia ecumenica che esclusivista.

Lo storico romano si chiede, inoltre, se il risveglio della religione civile (che comprende il culto della bandiera, la comunanza dei valori, il sentirsi popolo eletto e protetto da Dio) abbia corrisposto ad un risveglio di tipo religioso in senso generale. La risposta, a parer suo, è negativa, perché analizzando i dati sia del Pew Forum che del Barna Group (due gruppi di sociologi che, negli ultimi decenni, hanno analizzato le diverse influenze sociali della relgione negli USA) si riscontra che il livello di partecipazione a funzioni religiose, a un anno dagli attentati, è ritornato ad essere quello precedente (che è sempre uno dei più alti della storia americana) e che, invece, il culto della nazione (ricordiamoci che Gentile è un esperto di nazionalismo) è rinato ed ha preso nuova forza dalla crisi che vi era stata dopo la guerra del Vietnam. Il ruolo di Bush come “pontefice massimo” di questo culto ha funzionato sino a quando non vi è stato l’intervento in Iraq e, soprattutto, si è iniziato ad interpretare un culto ecumenico (che riguardava tutta la nazione) a prescindere dal colore politico, come autenticamente usato solo dai Repubblicani (a discapito dei Democratici) e, in particolare, dai cristiani evangelici conservatori, il cui fronte (di consenso incondizionato all’amministrazione Bush) si è iniziato a sfaldare dopo l’intervento in Iraq. Il concetto di religione civile (che risale al filosofo ginevrino Rousseau) e la sua interpretazione applicata agli Stati Uniti sono ripresi da un fondamentale studio della fine degli anni Sessanta del sociologo (protestante liberale) Robert Bellah e il testo di Gentile è debitore per la sua interpretazione a questo studio.

Le conclusioni del testo (che lo stesso A. dice provvisorie) sono quelle che se la religione civile è rinata (in una maniera laica e nazionalista) e se questa concezione non inficia il fatto che gli Stati Uniti siano la più importante delle democrazie occidentali, il futuro presidente, sulla scia delle critiche provenienti anche dal campo religioso, dovrà cercare di ritornare ad un regime più bipartisan e meno parziale di quello che l’Amministrazione, soprattutto nell’ultimo quadriennio, ha avuto.

Il testo si legge facilmente e bisogna complimentarsi con l’A. per la serietà con cui affronta l’argomento e l’abbondanza di materiali. Solo un’attenta lettura dello stesso potrà portare il lettore a comprendere le varie sfaccettature dell’interpretazione gentiliana che qui abbiamo toccato solo per sommi capi. Al contrario di molti testi scritti da autori italiani (in cui l’ignoranza sulle divisioni religiose in America è talvolta imbarazzante), Gentile mostra di conoscere le partizioni del protestantesimo americano, quali sono i suoi organi più autorevoli (Christian Century e Christianity Today sono più volte citati) ed anche i suoi esponenti. Rimangono alcuni piccoli appunti da fare che sono perdonabili in uno sforzo complessivo notevole. Non sempre è chiara la definizione di evangelico e talvolta si confonde con quello di fondamentalismo. Se, senza dubbio, esponenti come Pat Robertson e Jerry Falwell vanno annoverati tra i neofondamentalisti (che non vanno neanche confusi con gli autori originari dei Fundamentals degli inizi del XX secolo), Billy Graham, sicuramente uno dei massimi esponenti del mondo evangelico conservatore, non può essere considerato tale. Sempre su Billy Graham, se è vero che ha probabilmente sempre votato repubblicano, ha mostrato il suo atteggiamento bipartisan partecipando alla cerimonia di insediamento di Bill Clinton (che è della sua stessa denominazione) ed anche con il discorso fatto alla cerimonia della National Cathedral due giorni dopo l’11 settembre. Ancora più confusione (comprensibile del resto) viene fatta quando si parla di Jim Wallis. Gentile lo definisce protestante evangelico liberale, tre termini che negli USA sarebbero tra loro in contraddizione, in quanto il termine liberal è usato anche in campo teologico. Wallis, che si è formato in seminari evangelici conservatori, è rimasto tale per la sua teologia, ma ha un’agenda politica che può sembrare liberal, anche se in God’s Politics, la sua posizione è critica anche nei confronti dei democratici. In realtà il mondo evangelico è molto meno monolitico di quanto si creda in campo politico ed ha, al suo interno, posizioni differenti che vanno valutate in quanto tali.

Nonostante queste valutazioni che possono portare a degli equivoci (e che, con tutta probabilità possono essere comprese solo da una persona che è all’interno del mondo di cui si parla) il testo va letto per cercare di comprendere e per avere una documentazione sull’ultimo decennio della storia americana che, in lingua italiana, da quelle che sono le mie conoscenze, appare la più apprezzabile e la più leggibile.