giovedì 21 gennaio 2010

Cari studenti di SFP di Matera,
so che vi aspettavate per ieri i risultati degli esami tenuti a dicembre, ma purtroppo, per una serie di impegni, non ho ultimato la correzione e, pertanto, penso di comunicare il tutto entro quindici giorni. Un saluto e buon anno,
Valerio Bernardi

mercoledì 29 ottobre 2008

martedì 7 ottobre 2008

Stiamo facendo lezione

Oggi sto mostrando come si usa un blog ai miei studenti

La democrazia di Dio

Si avvicina il mese di novembre e, pertanto, si fa sempre più vicino il giorno delle elezioni del prossimo presidente degli Stati Uniti d’America, colui che guiderà per il futuro quadriennio la più grande democrazia occidentale e che, anche se indirettamente, determinerà come andranno le nostre vite. Per questo motivo, nei prossimi lunedì letterari, ho deciso di tracciare delle “piste” per comprendere un pPaese che, da europei, amiamo e odiamo profondamente allo stesso tempo, che ci attrae e ci respinge e di cui non riusciamo sempre bene a capire le dinamiche interne, in quanto, pur somigliando alle nostre nazioni ne è allo stesso tempo distante per altre caratteristiche.

La questione diviene ancora più complessa per un evangelico che si sente legato maggiormente agli Stati Uniti per motivi confessionali (sono la nazione con più evangelici al mondo) ed anche politici (è il primo luogo dove la tolleranza religiosa è stata applicata in maniera quasi integrale).

Per iniziare questo viaggio ho deciso di parlare di un testo non nuovissimo, ma che ha visto proprio in questo mese la sua ristampa in edizione economica. Si tratta di un saggio scritto da un italiano, uno storico di grande fama che, proprio come noi italiani, cerca di capire alcune questioni-chiave della politica americana. Il volume in questione si intitola La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero del terrore e l’A. è Emilio Gentile, per i tipi della casa editrice Laterza. Per chi non ha mai sentito il nome di Gentile va detto che si tratta di uno dei maggiori esperti viventi in Italia dei regimi totalitari e i suoi scritti sul Fascismo possono essere paragonati, per importanza, a quelli di Renzo de Felice. Meno noto è che Gentile, oltre ad occuparsi di totalitarismi, si era già occupato del rapporto tra politica e religione in un testo intitolato Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, cercando di mostrare come caratteri religiosi e nazionalismo possano andare di pari passo. Il saggio che qui esaminiamo è una sorta di secondo volume di questa ricerca, che applica i principi di tipo generale ad un caso particolare: quello degli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001.

Provare a scrivere un’opera “storica” di un passato così ravvicinato è impresa ardua, ma dobbiamo subito dire che lo storico romano ci riesce molto bene muovendosi con abilità in un gioco sempre difficile per colui che interpreta il passato: quello rimanere abbastanza equilibrato nelle sue valutazioni, pur mostrando chiaramente ed onestamente quali sono le sue posizioni a riguardo, senza celarsi in una oggettività che l’interpretazione storica mai ha, ma offrendo una struttura interpretativa densa e ben documentata.

Il testo che, nell’edizione uscita questo mese, presenta una nuova prefazione dell’A. in cui spiega come abbia ritenuto opportuna la nuova pubblicazione alla vigilia delle elezioni americane parte proprio da un commento ed un’analisi di quanto è successo dopo l’attentato alle Twin Towers. Nel primo capitolo, infatti, Gentile esamina soprattutto quelle che furono le reazioni all’attentato viste come l’inizio di una comprensione nuova da parte di una Nazione che, soprattutto dopo il crollo del regime sovietico, pensava di non aver più nessun nemico che potesse minacciare direttamente il proprio suolo e che non aveva il suo suolo direttamente invaso o violato da almeno due secoli. Sempre nello stesso capitolo si accenna alla tardiva reazione del Presidente Bush i cui consiglieri, mentre era a visitare una scuola del Texas, si resero conto solo con un certo ritardo della gravità della situazione e suscitarono, nello stesso giorno degli attentati qualche perplessità che fu poi sedata in seguito.

Proprio perché gli USA si sono sentiti, sin dalla loro fondazione, una nazione benedetta da Dio, nel secondo capitolo Gentile cerca di capire quale fu la reazione “religiosa” all’accadimento. Per fare questo si parte dalla famosa discussione che, nel XVIII secolo, si ebbe a proposito del terremoto di Lisbona, quando diversi filosofi illuministi (tra cui Voltaire, Rousseau e Kant) intervennero a commentare l’accaduto per cercare di comprendere come la morte di innocenti potesse essere giustificabile, per comprendere se si vivesse nel “migliore dei mondi possibili” oppure su come Dio avesse potuto permettere tutto ciò. La discussione che vi è stata dopo l’11 settembre, a parere di Gentile, ha risvolti analoghi a quella del XVIII secolo con i dovuti distinguo (l’attentato alle Twin Towers non è una catastrofe naturale, ma un atto terroristico oculatamente progettato) e ha suscitato una serie di risposte che vanno da quelle della destra religiosa che, quasi come i fondamentalisti islamici, all’inizio vedevano l’attacco come una sorta di punizione divina nei confronti del popolo americano che si era allontanato da una purezza morale che era andata, gradualmente, infiacchendosi, a coloro che, invece, cercavano una interpretazione di maggiore complessità della questione cercando di capire se vi erano colpe da parte degli USA o, piuttosto, se ci si trovava di fronte ad una manifestazione del Male assoluto con cui bisogna sempre combattere.

Proprio questa discussione porta l’A. a chiedersi che relazione vi sia stato tra il massimo rappresentante della politica americana, il presidente degli Stati Uniti e la religiosità. Gentile afferma che il nesso tra Presidenza e religione, in una nazione che si professa laica e in cui la divisione tra Chiesa e Stato appare netta, rimane molto forte, e lo è stato ancora di più durante il periodo della presidenza di George W. Bush. I capitoli successivi, infatti, cercano di analizzare il personaggio Bush sia prima della sua carriera politica, sia durante i suoi anni di presidenza sino all’inizio del secondo conflitto iraqeno. L’A. ritiene che la fede di Bush come cristiano rinato sia sincera e che questa si sia fusa con il culto della religione civile che ha cercato di interpretare in maniera sia ecumenica che esclusivista.

Lo storico romano si chiede, inoltre, se il risveglio della religione civile (che comprende il culto della bandiera, la comunanza dei valori, il sentirsi popolo eletto e protetto da Dio) abbia corrisposto ad un risveglio di tipo religioso in senso generale. La risposta, a parer suo, è negativa, perché analizzando i dati sia del Pew Forum che del Barna Group (due gruppi di sociologi che, negli ultimi decenni, hanno analizzato le diverse influenze sociali della relgione negli USA) si riscontra che il livello di partecipazione a funzioni religiose, a un anno dagli attentati, è ritornato ad essere quello precedente (che è sempre uno dei più alti della storia americana) e che, invece, il culto della nazione (ricordiamoci che Gentile è un esperto di nazionalismo) è rinato ed ha preso nuova forza dalla crisi che vi era stata dopo la guerra del Vietnam. Il ruolo di Bush come “pontefice massimo” di questo culto ha funzionato sino a quando non vi è stato l’intervento in Iraq e, soprattutto, si è iniziato ad interpretare un culto ecumenico (che riguardava tutta la nazione) a prescindere dal colore politico, come autenticamente usato solo dai Repubblicani (a discapito dei Democratici) e, in particolare, dai cristiani evangelici conservatori, il cui fronte (di consenso incondizionato all’amministrazione Bush) si è iniziato a sfaldare dopo l’intervento in Iraq. Il concetto di religione civile (che risale al filosofo ginevrino Rousseau) e la sua interpretazione applicata agli Stati Uniti sono ripresi da un fondamentale studio della fine degli anni Sessanta del sociologo (protestante liberale) Robert Bellah e il testo di Gentile è debitore per la sua interpretazione a questo studio.

Le conclusioni del testo (che lo stesso A. dice provvisorie) sono quelle che se la religione civile è rinata (in una maniera laica e nazionalista) e se questa concezione non inficia il fatto che gli Stati Uniti siano la più importante delle democrazie occidentali, il futuro presidente, sulla scia delle critiche provenienti anche dal campo religioso, dovrà cercare di ritornare ad un regime più bipartisan e meno parziale di quello che l’Amministrazione, soprattutto nell’ultimo quadriennio, ha avuto.

Il testo si legge facilmente e bisogna complimentarsi con l’A. per la serietà con cui affronta l’argomento e l’abbondanza di materiali. Solo un’attenta lettura dello stesso potrà portare il lettore a comprendere le varie sfaccettature dell’interpretazione gentiliana che qui abbiamo toccato solo per sommi capi. Al contrario di molti testi scritti da autori italiani (in cui l’ignoranza sulle divisioni religiose in America è talvolta imbarazzante), Gentile mostra di conoscere le partizioni del protestantesimo americano, quali sono i suoi organi più autorevoli (Christian Century e Christianity Today sono più volte citati) ed anche i suoi esponenti. Rimangono alcuni piccoli appunti da fare che sono perdonabili in uno sforzo complessivo notevole. Non sempre è chiara la definizione di evangelico e talvolta si confonde con quello di fondamentalismo. Se, senza dubbio, esponenti come Pat Robertson e Jerry Falwell vanno annoverati tra i neofondamentalisti (che non vanno neanche confusi con gli autori originari dei Fundamentals degli inizi del XX secolo), Billy Graham, sicuramente uno dei massimi esponenti del mondo evangelico conservatore, non può essere considerato tale. Sempre su Billy Graham, se è vero che ha probabilmente sempre votato repubblicano, ha mostrato il suo atteggiamento bipartisan partecipando alla cerimonia di insediamento di Bill Clinton (che è della sua stessa denominazione) ed anche con il discorso fatto alla cerimonia della National Cathedral due giorni dopo l’11 settembre. Ancora più confusione (comprensibile del resto) viene fatta quando si parla di Jim Wallis. Gentile lo definisce protestante evangelico liberale, tre termini che negli USA sarebbero tra loro in contraddizione, in quanto il termine liberal è usato anche in campo teologico. Wallis, che si è formato in seminari evangelici conservatori, è rimasto tale per la sua teologia, ma ha un’agenda politica che può sembrare liberal, anche se in God’s Politics, la sua posizione è critica anche nei confronti dei democratici. In realtà il mondo evangelico è molto meno monolitico di quanto si creda in campo politico ed ha, al suo interno, posizioni differenti che vanno valutate in quanto tali.

Nonostante queste valutazioni che possono portare a degli equivoci (e che, con tutta probabilità possono essere comprese solo da una persona che è all’interno del mondo di cui si parla) il testo va letto per cercare di comprendere e per avere una documentazione sull’ultimo decennio della storia americana che, in lingua italiana, da quelle che sono le mie conoscenze, appare la più apprezzabile e la più leggibile.

martedì 23 settembre 2008

AVVISO AGLI STUDENTI INDIRIZZO DEA

La lezione del giorno 24 settembre delle ore 15 è rinviata. Saluti,

Valerio Bernardi

martedì 16 settembre 2008

Da questo mese il lunedi letterario anche sul mio blog

Ho deciso, dopo qualche settimana, di riprendere quanto scritto su ICN-NEWS da me per il lunedi letterario. Ecco quello della scorsa settimana.

 

La figura “unica” di Giovanni Battista.

Quando si leggono i Vangeli, ognuno, credenti e non credenti, pone attenzione soprattutto agli episodi della vita di Gesù, ai racconti che egli faceva ed, eventualmente, alla sua morte ed alla sua Risurrezione. Pochi si soffermano sulla parte iniziale dell’opera di Gesù sulla terra e sui protagonisti di questa prima parte della sua vita, un po’ perché i Vangeli non ci dicono molto, un po’ perché lo riteniamo meno importante.

La figura di Giovanni di Battista, in una lettura di questo tipo, risulta marginalizzata e, da molti di noi, è ricordato soprattutto come colui che ha battezzato Gesù. Scrivere oggi un testo su questo personaggio è quindi non facile, sia per la poca attenzione che anche i credenti danno a lui, sia perché le informazioni che ci giungono dai Vangeli risultano essere piuttosto scarne.

Negli ultimi decenni, però, le ricerche sul cosiddetto mediogiudaismo, ovvero il periodo ebraico in cui Gesù e Giovanni hanno vissuto, hanno ampliato le loro conoscenze, grazie sia ai ritrovamenti fatti a Qumran nel Mar Morto, sia grazie ad una lettura più accurata dei cosiddetti apocrifi dell’Antico Testamento, in particolare delle varie apocalissi apocrife che si erano formate e che erano lette proprio nel periodo in cui si sono svolti gli avvenimenti raccontati nei Vangeli.

A dare un contributo fondamentale per una rilettura complessiva del periodo, oltre che studiosi stranieri, sono stati anche gli italiani e, in particolare, Paolo Sacchi è stato uno di coloro che hanno rivisitato questo periodo storico e che ha scritto importanti contributi sull’argomento.

Suo “allievo” evangelico negli ultimi anni è stato Eric Noffke che, dopo essersi occupato in un interessante volume di introdurre la letteratura mediogiudaica, ha pubblicato, per i tipi della Claudiana il volume Giovanni Battista. Un profeta esseno? L’opera e il messaggio di Giovanni nel suo contesto storico.

La ricerca di Noffke si allinea a quelle sul Gesù storico e cerca di tracciare un quadro preciso del periodo in cui era inserita la figura di Giovanni, della novità, ma, allo stesso tempo, della continuità del suo messaggio rispetto all’epoca in cui viveva, di come possiamo considerare la sua figura e di che relazione ci sia tra lui e Gesù.

Il libro, dopo aver enunciato in un capitolo iniziale quali sono i metodi e le fonti che sono stati utilizzati per l’analisi, inizia cercando, sulla base delle fonti in nostro possesso, di stabilire alcune dei tratti fondamentali della vita di Giovanni, della sua provenienza (di stirpe sacerdotale) e delle azioni che lo portarono alla condanna a morte da parte di uno dei figli di Erode. L’analisi, fatta in poche e stringate pagine che non si basano solo sulla testimonianza dei vangeli ma anche su quello che viene affermato da Giuseppe Flavio, traccia un profilo del personaggio che va al di là dell’aura misteriosa che, talvolta, sembra avvolgerlo nel Nuovo Testamento.

I capitoli successivi servono a scoprire i tre aspetti salienti dell’ambiente in cui Giovanni è vissuto e di cui solitamente abbiamo poche informazioni. Il primo riguarda lo sfondo storico: Giovanni vive in un periodo di crisi, dove l’Impero Romano cerca di far sentire, dopo la morte di Erode il Grande (già visto da molti Giudei come un usurpatore), il suo peso e vuole “uniformare” la vita della Palestina a quella del resto dell’Impero. I Giudei, come si sa, reagiranno a questo tentativo di acculturazione forzata e scoppierà una rivolta endemica cui anche Giovanni assiste. Accanto alla rivolta vera e propria, come secondo punto, Noffke mostra come l’insegnamento del Battista si inserisca all’interno di una serie di “fiammate” escatologiche che avevano fatto già intravedere l’idea dell’attesa di un giudizio finale o di una resa dei conti con l’Impero. Questo sguardo agli ultimi tempi aveva portato alla produzione di una serie di scritti, le cui caratteristiche ispireranno sia il biblico libro dell’Apocalisse sia le predicazioni di Giovanni e di Gesù. Il terzo aspetto riguarda la discussione sul profetismo all’epoca di Giovanni: al contrario di quello che pensano gli studiosi tradizionalisti, Noffke afferma che il profetismo era un fenomeno che non era mai tramontato e che non si era estinto con l’ultimo dei profeti scrittori, ma che era continuato anche con profeti la cui predicazione aveva caratteristiche maggiormente escatologiche e che erano riconosciuti come tali almeno a livello popolare. Questo “clima” fece sì che la predicazione di Giovanni avesse un notevole successo.

La parte centrale del testo analizza il messaggio di Giovanni che è enucleato in tre principali tematiche. Il primo tema è quello dell’avvento del Regno. Giovanni, sulla scia del messianismo dell’epoca, riteneva che il Regno di Dio fosse vicino e l’avvento del Messia fosse imminente. L’A. ritiene che egli stesso con tutta probabilità non si riteneva il Messia, ma sicuramente era una figura profetica importante e critica per l’epoca e che da alcuni, che divennero suoi discepoli, era visto come Messia. Il secondo tema è quello dell’appello etico di Giovanni: il profeta riteneva che il messaggio dell’avvento del Regno dovesse avere come conseguenza una revisione del proprio comportamento: ciò, al contrario di altri “Messia” dell’epoca non implicava una rivolta pratica nella società, quanto un comportarsi in maniera giusta restando al proprio posto. Giovanni sembra voler essere la “coscienza critica” della sua epoca (come del resto avevano fatti diversi profeti nell’Antico Testamento) e per questo paga con la vita, dopo l’arresto da parte di Erode. Il terzo aspetto del messaggio di Giovanni è quello dell’insegnamento del battesimo di ravvedimento. Questo suo insegnamento è totalmente originale, in quanto, all’epoca, nonostante il ricorso da parte di alcuni gruppi (come quello degli Esseni) a frequenti abluzioni purificatorie (talvolta anche con immersioni totali), nessuno predicava un’immersione unica che simboleggiasse la purificazione dai propri peccati. Proprio quest’aspetto, insieme con quello dell’avvento del Regno, saranno ripresi dal cristianesimo.

Gli ultimi capitoli sono dedicati proprio a cercare di capire quale rapporto vi è stato tra Gesù e Giovanni e dove si può inserire, all’interno del variegato mondo del mediogiudaismo la figura del Battista. Per Noffke è scontato che Gesù sia stato un discepolo di Giovanni per un certo tempo e il racconto del suo battesimo, insieme alla predicazione del Regno lo attesterebbe. Resta il dubbio, da un punto di vista storico, di quale fosse la coscienza reale di Giovanni su chi fosse colui che aveva battezzato. L’A., seguendo il metodo storico-critico, non ritiene che Giovanni abbia mai affermato in maniera categorica che egli non fosse degno di sciogliere i calzari a Gesù, ma non può non affermare che il nesso tra i due appare molto forte. Per quanto riguarda la sua collocazione storica, Noffke, al contrario di molti studiosi che hanno cercato di vedere in Giovanni un Esseno, ritiene che il suo messaggio pubblico non si possa rifare alla comunità essena di Qumran, troppo chiusa e settaria, ma che sia direttamente collegabile al libro di Enoc che, secondo Sacchi, rispecchierebbe le idee di un essenismo moderato (o forse di qualche scuola farisaica dell’epoca) cui lo stesso Giovanni, almeno in una fase iniziale avrebbe fatto parte.

Il libro va letto soprattutto per la ricchezza dei materiali presentati, per la conoscenza che l’A. dimostra degli scritti e delle fonti dell’epoca mediogiudaica e per l’attenzione posta ad un personaggio con cui anche i credenti non hanno molta dimestichezza. Si tratta di un testo che ha scopo divulgativo e che quindi è agevole nella lettura. Forse un minore intercalare delle numerose citazioni dagli scritti apocrifi dell’epoca con un semplice rimando riassuntivo, lo avrebbe reso di più facile lettura. Due critiche però vanno mosse: nonostante l’impostazione post-critica, l’A. comunque usa il metodo storico-critico in maniera tradizionale quando vuole; l’altra critica è sulla conclusione che, seppur condivisibile e chiaramente dimostrata attraverso tutto il lavoro del saggio, appare affrettata nella sua parte espositiva.